Il dibattito in occasione del convegno per la presentazione dello studio "Decarbonizzare i trasporti pesanti. Prospettive dei segmenti stradale e marittimo al 2030 e 2050" realizzato da UNEM in collaborazione con RIE di Bologna. Articolo a cura di Pierpaolo Signorelli.
Il processo della decarbonizzazione dell’economia, in Europa, è in atto ormai da anni ed è, e sarà sempre più, ineludibile: non essendo oltremodo sostenibile per il Pianeta l’impatto derivante dall’uso delle fonti fossili, occorre riconvertire tecnologie e impieghi su modalità non inquinanti, attraverso un processo graduale. E tale impostazione è divenuta la politica che maggiormente contraddistingue l’Europa nel mondo. Però, se per gli impieghi stazionari soluzioni per generare l’energia sono ormai attive da tempo (FER) e sempre più convenienti, per la mobilità pesante la questione si è ben più ostica, sia per le persistenti difficoltà tecnologiche, sia per una tempistica molto impegnativa che l’UE si è imposta come sua tabella di marcia. Ne risulta che un’applicazione meramente passiva delle normative che puntano all’abolizione dell’uso delle fossili, porterebbe ad un irreparabile contraccolpo economico e sociale per il settore della mobilità pesante e per i porti italiani.
È quanto emerso dai lavori del convegno per la presentazione dello studio "Decarbonizzare i trasporti pesanti. Prospettive dei segmenti stradale e marittimo al 2030 e 2050" realizzato da UNEM (Unione Energie per la Mobilità) in collaborazione con RIE di Bologna.
In effetti, nel settore della mobilità pesante, e, ancor di più, in quello della navigazione, sono molte le criticità rimaste aperte, pur trattandosi di settori strategici per il commercio mondiale e la distribuzione locale. Al momento infatti non ancora è disponibile una soluzione tecnologica, magari articolata, atta a realizzare fattivamente ed economicamente il cambio di paradigma.
Pur in presenta di un simile gap, le scadenze previste dall’Unione Europea per la progressiva riduzione dell’emissione di CO2, specificatamente quelle nel settore dei trasporti, sono tutte confermate.
Nuovi Regolamenti UE: nuovi limiti emissivi per trasporto leggero e pesante
Fonte: Elaborazione RIE su regolamenti UE
Ecco perché il focus del dibattito si è concentrato sulle opzioni tecnologiche percorribili, al fine di individuare un’armonizzazione fra i limiti fissati dalla normativa europea e i tempi del progresso tecnologico, magari con l’ausilio di innovative soluzioni organizzative. E sapendo che la vera problematica non è il perfezionamento di un prototipo, bensì la sua applicazione su grande scala, affinché si possa giungere ad un prodotto economicamente competitivo.
Un punto di partenza su cui si registra un consenso pressoché unanime, è che il legislatore europeo riconosca, affermi e persegua il principio base della neutralità tecnologica, condizione che consente di sfruttare il ventaglio, il più ampio possibile, di tutte le tecnologie presenti e future, idonee per l’azzeramento del carbonio. Al contrario, la predilezione unica è molto limitante, sia in termini di sviluppo economico che di democraticità d’impiego.
Altra questione molto sentita è quella della metodologia di calcolo adottata per quantificare le emissioni nei trasporti. È infatti profondamente diverso il valore del risultato se la quota emessa è calcolata secondo la lunghezza del percorso, il peso movimentato o il numero di persone trasportate, in quanto a parità di comparto – terrestre, marittimo e aereo – il vettore utilizzato è radicalmente diverso. Occorre una metodologia standardizzata, ossia universale nell’adozione dei parametri di calcolo, affinché ci sia un univoco confronto, in Europa e nel resto del mondo, sui fattori che sono le cause effettive delle emissioni, specie in analisi articolate e complesse come LCA.
Fig. 1 – Composizione del naviglio italiano per tonnellaggio (SX) e per numero di unità (DX) - 2022
La problematica di base è che non si dispone ancora di un carburante e/o un motore non inquinante, ma solo di ottimizzazioni e approssimazioni su tecnologie già esistenti. E nello stradale pesante, come nel marittimo, un passaggio all’elettrico appare del tutto teorico, sia in termini di sostenibilità tecnica che economica.
Si fa altresì notare che anche riuscendo a centrare la soluzione che armonizza i diversi fattori (economicità, accessibilità nell’uso, fattibilità di costruzione ecc.) occorre poi portare il “ sistema mondo”, in ogni singolo comparto della filiera a convertirsi a tale soluzione, costruendo l’infrastruttura atta a raggiungere del prodotto finito. Esattamente com’è stato fatto per i prodotti derivati dalle fonti fossili. Facciamo un esempio e poniamo il caso dell’idrogeno: non basta produrlo, né disporre di un motore idoneo ad impiegarlo, ma occorre altresì tirar su una filiera di tale prodotto in tutto il mondo, con protocolli tecnici e operativi che consentano ai diversi vettori (navale, terrestre, aereonautico) di servirsene. Ecco perché la transizione energetica non può essere solo europea, né priva di un coordinamento concordato che coinvolga le maggiori economie del globo. E invece sembra che si proceda in ordine sparso, senza obiettivi comuni cui progressivamente convergere.
Maggiori probabilità di successo possono riscontrarsi in un adattamento graduale delle tecnologie presenti, rimodellate verso soluzioni meno inquinanti. Il primo passo concerne la scelta di un diverso carburante a parità di motori/impianti, ossia i biofuels. Sono un prodotto ormai affermato, verso cui l’industria, specie quella italiana, sta offrendo soluzioni disponibili a pronti, economiche, tecnologicamente mature. Costituiscono pertanto la scelta a pronti più facile e più veloce per poter centrare gli ambiziosi obiettivi europei in materia di riduzione delle emissioni. Meglio e più ancora possono costituire lo “strumento ponte” verso la futura tecnologia e la relativa filiera da impiegare per realizzare appieno la transizione energetica. Condizione perché questo possa avvenire è l’utilizzo dei biocarburanti in tutti i comparti del trasporto in cui sono tecnicamente applicabili affinché si possano conseguire economie di scala, con conseguenti riduzione dei costi per unità di prodotto, favorendo la decarbonizzazione di settori scarsamente elettrificabili.
Fig. 2 – scenari decarbonizzazione trasporto merci marittimo
Eppure, non si creda che tale indirizzo di soluzione sia la panacea di tutti i mali. Infatti, per quanto ricordato, l’approccio univoco non è risolutore, e il probabile successo che si avrebbe con l’adozione su grande scala dei biocarburanti, nel centrare gli obiettivi della normativa europea, comporterebbe però ulteriori problematiche a loro volta di difficile soluzione.
Cominciamo con notare che il loro uso massiccio richiede l’approntamento di aree parecchio estese per coltivazioni dedicate di piante idonee (sorgo, colza, mais ecc.). In Europa il clima non è tra i più favorevoli e le zone più idonee hanno i terreni già impiegati per coltivazioni remunerative, spesso secolari. Si verrebbe quindi a creare una sorta di concorrenza fra le diverse tipologie di coltivazione con conseguenze molto serie per le colture locali. Una dinamica che si è già vista con il fotovoltaico di potenza installato a terra.
Come alternativa si potrebbe pensare ai RFNBO (renewable fuels of non-biological origin) la cui affermazione resta però piuttosto incerta nei tempi, nelle quantità e nei costi. E, nuovamente, sbilanciare il settore a favore solo degli RFNBO comporta criticità nel caso non si raggiungano gli obiettivi, con problematiche di equilibrio Domanda/Offerta e riflessi sui prezzi per i consumatori
Ma forse, il rischio maggiore si avrebbe se, per paradosso, le soluzioni indicate avessero successo e nei porti europei, si potesse attraccare e commerciare solo disponendo delle nuove tecnologie. In tale eventualità, la stragrande maggioranza delle navi del resto del mondo, estranee alla normativa e al protocollo europeo, farebbero scalo sui vicini porti del nord Africa o dell’Albania, causando l’esclusione di quelli del sud dell’Europa. Il danno sarebbe enorme e irreparabile per un paese come il nostro che ha una cosi marcata connotazione mercantile.
Per attenuare la pressione sul sistema dei trasporti conseguente del processo di transizione, una possibile via d’uscita è rappresentato dall’intermodalità ossia investire in veicoli interoperabili e moderni per il trasporto merci, che ha, fra le altre cose, ricadute positive anche sul piano industriale nazionale ed occupazionale. Adattare vettori e mezzi affinché possano in misura ben maggiore alla presente integrarsi fra loro al fine di ridurre il numero di viaggi e di veicoli in marcia è certamente fattibile, tecnicamente sicuro ed economico, in quanto si valorizzano ed implementano tutte le infrastrutture esistenti, eventualmente ammodernando quelle vetuste non più compatibili con gli standard contemporanei.
Si afferma dunque – ed è il contributo più significativo espresso dal convegno – come l’approccio realistico per vincere la sfida della transizione sia quello multilaterale, ossia capace di esprimere in una sintesi articolata, una metodologia che spazi fra la pluralità delle fonti, delle soluzioni tecniche ed organizzative, nella consapevolezza che la neutralità carbonica e neutralità tecnologica sono due facce della stessa medaglia.
Al contrario, l’affermazione preventiva e dirigista di un unico standard tecnico, metodologico e programmatico condurrà fatalmente alla limitatezza dei contributi positivi e al mancato raggiungimento degli obiettivi che tanto si voleva centrare.