
Le storture rimangono e i costi salgono. La maturità concorrenziale del mercato energetico italiano (ed europeo) è ancora lontana. Articolo a cura di Pierpaolo Signorelli.
Il 2025 comincia in salita il suo percorso e il futuro prossimo venturo non sembra attestarsi su auspici migliori come ha evidenziato Confidustria nel rapporto “Congiuntura Flash” nel quale si sottolinea come l’industria italiana sia “in affanno”. A ben vedere la situazione è più grave di quanto non si rilevi: l’indice di produzione industriale è stato negativo per tutto il 2024, con un dicembre particolarmente nero (-7,1%).
Parte di questa débâcle è dovuta a fattori esogeni al settore, come la guerra russo-ucraina e le politiche europee non ben centrate sull’auto elettrica; l'automotive è infatti in caduta libera, segnando lo scorso dicembre -36,6% rispetto all’analogo mese del 2023. Tuttavia, la parte significativa e durevole del calo è dovuto al caro energia che, in Italia è tornato, da inizio autunno scorso, a livelli stratosferici: il PUN ha marcato picchi da 160€ -170€/MWh, mentre il PSV segnava a gennaio 2025 oltre 0,53 €/smc.
A riprova della serietà della situazione, il presidente di Confindustria Orsini ha recentemente rimarcato come il prezzo dell'energia in Italia sia superiore dell'87% rispetto alla Francia, del 72% rispetto alla Spagna, del 38% rispetto alla Germania, con una mazzata per le imprese nazionali di oltre 13 miliardi di euro, in più rispetto al 2024, secondo le stime elaborate dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre.
A livello micro le cose non vanno meglio, anzi: una famiglia tipo che consuma 1.400 metri cubi di gas subirà un aumento di spesa di oltre 300€ rispetto al 2024, a parità di consumi. Assoutenti conferma che le tariffe sono mediamente cresciute di oltre 1/5 rispetto lo scorso anno. Non stupisce che l’economia ristagni, poiché i consumi, specie per gli acquisti di nuove merci, comprese i beni durevoli, sono fermi e di conseguenza la produzione industriale continua a declinare.
Il Governo sta correndo ai ripari, ma chiaramente si tratta di risposte estemporanee che vanno a mitigare il sintomo, e non a rimuovere le ragioni più profonde. L’Esecutivo, attraverso il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha in cantiere il possibile ricorso del gas release, il meccanismo che autorizza il Gse a comprare gas da rivendere alle imprese energivore a prezzo calmierato.
Dal canto loro le aziende “gasivore” (dal vetro, alla carta, alle piastrelle) propongono una variante: uno sconto di 20 euro al MWh, per tre anni, applicato ai consumi effettivi dell’industria. Ma, nella presente congiuntura economica, le risorse finanziarie scarseggiano, specie per un impegno pluriennale, e l’intervento provocherebbe gli anatemi di Bruxelles, da sempre avversa agli aiuti di Stato a favore delle aziende in difficoltà.
La situazione descritta, sotto gli occhi di tutti, presenta però delle strane anomalie, che al contrario non sono affatto evidenti. Per prima cosa, si rileva come il mercato italiano dell’energia dopo l’impatto violento causato dalla speculazione a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina si era assestato abbastanza bene, supplendo all’import da Tarvisio con potenziamento dagli altri canali/vie e installato in tempi rapidi il rigassificatore di Livorno.
Complici anche gli inverni miti, i consumi sono stati contenuti, se non proprio bassi in certe regioni. E quest’andamento, nella nostra penisola si è ripetuto anche quest’autunno-inverno, con qualche punta di maggior rigore durata 2 o 3 settimane, secondo le zone del paese. Ed infatti, secondo i dati di Snam RG il livello degli stoccaggi è stato ripristinato completamente, ed anzi risulta sopra la media; i consumi totali a gennaio 2025 risultano essere di 7.804,8 milioni di mc, in calo di uno 0,3% sul dato di gennaio 2024 e di 15,8% rispetto alla media del decennio 2015-2024.
Fa eccezione su questo trend il termoelettrico che segna +7,5% a 2.062,6 mln/mc, (ma comunque sempre -9,3% sulla media 2015-24), che ha dovuto compensare il minor apparto delle rinnovabili e dell’import elettrico proveniente dal resto Europa. Sforzo minimo per il nostro parco termoelettrico.
Va poi aggiunto che gli andamenti rialzisti si stanno avviando alla fase conclusiva mostrando segnali di esaurimento come indicano i futures sul gas quotati per il secondo trimestre al TTF olandese a 51€/MWh rispetto ai 58€/MWh di lunedì 10 febbraio, mentre quelli dell’elettricità scendono a 160 €/MWh, che è pur sempre elevato, ma meno degli oltre 170€/MWh. Si tratta comunque di una tendenza incerta perché molto dipende dalle condizioni meteo che, se sfavorevoli, come la bassa ventosità ovvero improvvise temperature più rigide, vanno a riattivare la spirale rialzista della speculazione.
Tuttavia, anche esulando da tali ipotesi, il livello dei prezzi si manterrà elevato a lungo, specie in Italia, con grave danno per i consumi, la competitività del settore manifatturiero e i livelli occupazionali. Come mai tale anomalia? Perché gli aumenti di prezzo non dipendono dal livello della domanda nazionale che come visto è rimasta sostanzialmente stabile se non fiacca. Dipendono invece dall’azione della speculazione che impunemente agisce sui nostri comparti di mercato.
Ma come si è arrivati a questo punto? In Italia il problema di fondo sta nel processo di valorizzazione delle commodities che risente molto del processo di formazione del prezzo che a sua volta è condizionato dalle concentrazioni di mercato, uniche in tutta Europa. Cominciamo col rilevare che il gas all’utenza residenziale (famiglie, commercianti, uffici) viene venduto usando come benchmark il prezzo formatosi al PSV.
Quest’ultimo è il Punto di Scambio Virtuale, ossia una piattaforma bilaterale, Over the Counter, quindi non una borsa normatizzata con una Clearing House disciplinante, che serve ai vari fornitori/rivenditori per tarare le proprie immissioni/prelievi di gas nella rete, nel giorno di consegna (day-head). In sostanza, per le variazioni della domanda, a sua volta influenzata dalle condizioni meteo, le forniture di ciascun operatore possono rivelarsi “lunghe” (eccesso di offerta) oppure “corte” (difetto di offerta).
La piattaforma serve a bilanciare le posizioni dei vari operatori affinché essi siano sempre in corretta corrispondenza con la domanda effettiva. Questo perché gli squilibri si pagano visto che il TSO del gas, Snam, deve, in difetto di posizione del singolo operatore, bilanciare con risorse di sistema la posizione non allineata, correzione che ha il suo costo.
All’indomani dell’invasione della Russia con i prezzi del gas alle stelle, anche tali riequilibrature sono divenute particolarmente care. Per evitare perdite, all’utenza domestica è stato utilizzato il prezzo del PSV come indice, ma si tratta di una valorizzazione non corretta su una fornitura che ha un contratto annuale ed una bolletta mensile. Si noti un particolare importante: le quantità oggetto delle compravendite fra gli operatori sono modeste, qualche punto percentuale, poiché la fornitura è pienamente programmata con scansione oraria; non solo, ma trattandosi di una piattaforma bilaterale, al PSV le quantità che sono scambiate sono sostanzialmente le stesse, perché passano di operatore in operatore finché non livellano le singole posizioni (Churn Ratio). Ne è venuto fuori una sorta di “mini borsa” dove la rivendita dell’ultimo minuto risulta particolarmente premiante.
Ma la borsa italiana del gas esiste, ben scansionata nel timing, ed è quello l’indice corretto per forniture di medio/lungo periodo. Invece alla domanda, che non può difendersi mediante astensione dal consumo, è stata applicata una percentuale di prezzo integrativa al costo di base della propria fornitura che copre le speculazioni al PSV. E questo meccanismo è due volte scorretto: una prima volta perché si addebita alla clientela, attraverso una distorsione della teoria marginalista di mercato, il bilanciamento orario su un consumo che ha tariffazione mensile, bilanciamento che è imputabile esclusivamente al fornitore e il cui costo dovrebbe essere solo a suo carico (rischio d’impresa). E una seconda volta perché il benchmark di mercato è quello della borsa che è pubblico, perciò noto, a differenza degli accordi bilaterali fra gli operatori al PSV.
Ma andiamo oltre. Si obietta da più parti, non senza elementi di ragione, che gli aumenti del gas sono dovuti all’innalzamento dei prezzi al TTF olandese dove vengono quotati i flussi per le forniture di mezza Europa, prevalentemente del nord. L’intenso freddo che ha colpito quelle regioni ha accresciuto i consumi e quindi la speculazione ha soffiato, vorace, sul fuoco della necessità, facendo impennare i prezzi dei futures trimestrali. Tuttavia, come visto, è una situazione che non riguarda l’Italia, che registra consumi addirittura ridotti rispetto il biennio precedente, di per sé già mite.
Il fatto è che, diversi anni fa, quando la domanda di gas in Italia era ai minimi, fu permesso l’accreditamento degli operatori stranieri sia alla borsa all’ingrosso che al PSV, costituendo così un’autostrada per la speculazione. Il risultato non fu un livellamento dei prezzi, bensì un adattamento a quello più elevato perché la domanda non può sottrarsi, almeno nel breve periodo, al consumo consueto. E ai players italiani (dagli importatori a scendere) fa indubbiamente comodo questa situazione, malgrado le loro forniture siano state contrattualizzate da tempo presso i paesi e le compagnie straniere da cui si riforniscono direttamente. Perché vendere il prezzo al valore del mercato italiano se posso usare come Benchmark quello del TTF? Non a caso, la vicina Spagna che gode di prezzi paradisiaci, è, ben comprensibilmente, guardinga, nel realizzare maggiori connessioni elettriche col resto d’Europa temendo un travaso di prezzi a proprio danno. Per il momento il mercato europeo dell’energia non riesce a livellare verso il basso i prezzi a discapito delle imprese e famiglie.
C’è poi la questione delle rinnovabili. Dovevano essere il rimedio che leniva congiuntamente le tasche dei consumatori e gli effetti del cambiamento climatico… Al momento sono la piaga dei sistemi (elettrico e gas) a causa della loro intermittenza e non prevedibilità specialmente per gli impianti di potenza eolici, nonché ottima opportunità di lucro per gli speculatori di tutta Europa.
La questione si articola su due fronti: il primo, non esistono forme di stoccaggio per impianti di potenza come i parchi eolici offshore, né che riescano ad accumulare ad erogare l’energia oltre l’intervallo giorno/notte. Per queste due eventualità si ricorre ovviamente al termoelettrico che per tale servizio richiede un extra-costo, visto che, deve attivarsi e modularsi con perfetto tempismo sugli andamenti dell’eolico. Il secondo punto è che le rinnovabili vendono l’elettricità al prezzo del termoelettrico che però risente delle quotazioni del gas. E abbiamo visto come monta la bolla su tale commodity. Perciò, anche qui per procedure di borsa e speculazione dei numerosi operatori delle FER, vi è un unico prezzo dell’energia, indipendentemente dalla fonte che la produce. E, chiaramente, il prezzo del termoelettrico non potrà mai scendere a quello delle rinnovabili, che invece, come accade nella vicina Spagna se sono in numero congruo, riescono a produrre anche a costo zero.
Queste situazioni critiche si possono sanare, anche rapidamente, ma occorre rientrare nell’alveo del libero mercato dove le imprese si confrontano e si contendono il mercato attraverso il ribasso dei prezzi ovvero l’erogazione di più servizi a parità di prezzo. Per questo il progetto del ministro Fratin, di azzerare il differenziale di costo del gas al PSV e il TTF ci lascia scettici: non solo si persegue ad usare il prezzo del PSV come benchmark, ma si aggravano i costi pubblici per non meno di 200 milioni, in quanto l’operazione non avverrebbe attraverso un potenziamento della concorrenza, bensì per provvedimento amministrativo. Le storture rimangono e i costi salgono. La maturità concorrenziale del mercato energetico italiano (ed europeo) è ancora lontana.