Articolo di Pierpaolo Signorelli
Nel prossimo decennio, il gas continuerà ad essere un vettore energetico fondamentale nell’articolato processo di transizione verso un’economia ed una produzione energetica a zero impatto ambientale.
È quanto emerge dall’ultimo Outlook della IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, organismo dell’OCSE, che è divenuta nel tempo – proprio quest’anno ricorre il 50° anniversario della sua fondazione – la più autorevole organizzazione internazionale per l’energia.
Nel rapporto, il futuro è descritto molto incerto sul versante politico, visto che si sta andando verso un mondo policentrico, con un ordine mondiale non più centrato solo sull’Occidente, mentre per quanto concerne l’energia il futuro è ben più chiaro: si avrà un’impetuosa crescita dei consumi elettrici, tanto da far affermare che si entrerà nei prossimi lustri nell’ “era elettrica” che segue quella del carbone e del petrolio.
La tendenza non deve stupire poiché sono in crescita, con l’indicativa eccezione dell’Unione Europea, tutti gli indicatori di consumo: la demografia, una sempre più ampia diffusione di apparecchi elettrici (climatizzatori) e l’affermazione dei super computer per gestire la dirompente AI. Semmai a destare stupore è l’entità dell’incremento della domanda elettrica richiesta nel mondo, che è pari a 1000 TW annui cioè l’equivalente del consumo del Giappone in un anno!
A fronte di una simile crescita l’articolazione dell’offerta di energia rimane molto varia e complessa; si diramano due filoni che sono apparentemente in contraddizione: le fonti fossili, che continueranno a crescere negli impieghi – con l’eccezione importante del carbone – fino al picco stimato verso il 2030. E le fonti rinnovabili, i cui investimenti e produzione, specificatamente il fotovoltaico e batterie, sono talmente grandi che si stima un durevole, abbattimento dei costi – forse eccessivo – facendo impennare il ricorso a tali soluzioni per produrre elettricità.
Il fattore importante è che gli uni influenzano gli altri, poiché le fonti a basse emissioni saranno destinate a generare più della metà dell’energia elettrica consumata al 2030. Dacché anche i prezzi delle FET dovranno contenersi per rimane concorrenziali nella loro quota di mercato, pena un’esclusione ancora più marcata.
Tuttavia, questa crescita dell’elettricità ha le gambe d’argilla perché non viene speso a sufficienza per potenziare una rete in grado si supportare i consumi, sia per potenza che per intensità. Come potrà questo scenario disarticolato realizzarsi, senza un vettore che realizzi una sorta di “differenziale temporale” un “ammortizzatore tecnologico” fra i vari comparti dell’energia nelle tante, distinte realtà nazionali del Pianeta?
La risposta perseguibile è il gas, soprattutto il GNL. Ed infatti il consumo nei vari scenari analizzati, risulta dapprima in crescita e poi sostanzialmente costante al 2035 e oltre. E non potrebbe essere diversamente per la molteplicità degli impieghi (illuminazione, riscaldamento, trazione, cottura cibi, processi industriali), e per la facilità dei trasporti sia via terra che via mare di cui gode il gas. C’è poi da segnalare come il successo che il biogas sta riscontrando, ad esempio in Italia, possa essere facilmente replicato in diversi paesi del mondo con varianti molto positive: zone brulle, incolte o semplicemente abbandonate, potrebbero essere nuovamente rinverdite per produrre materiale organico necessario per la fermentazione, ottenendo così due risultati positivi con uno unico business: la messa a dimora di nuove piante e alberazioni con recupero di terreni, e la generazione di biogas, l’idrocarburo a minor impatto ambientale.
Esula parzialmente da tale scenario pro gas rispetto al resto del mondo, l’Europa, nell’ipotesi che i suoi progetti di produzione elettrica da FER si realizzino (Fit for 55 e Repower UE). Tuttavia, si dovrà implementare e magliare significativamente le reti di distribuzione per centrare simili ambiziosi obiettivi e non sarà facile, specie nelle zone europee ad alta densità abitativa.
Conforta tale riflessione il recente lavoro che ha realizzato Snam, il “Transition Plan” ossia una sorta di road map degli investimenti che la società intende realizzare sulla base degli andamenti futuri della domanda di gas che determina i flussi immessi in rete. Ebbene, in Italia, fino al 2040 solo l’1% dei gasdotti è a rischio di sottoutilizzo, mentre è inferiore al 10% il livello al 2050. A riprova del fatto che l’Italia, ma ragionevolmente anche i suoi partner europei continueranno ad utilizzare gas sui livelli presenti anche negli anni a venire. Progressivamente, come già ricordato, il consumo di gas scenderà, affiancato, specie per gli usi industriali dall’utilizzo dell’idrogeno. Rimarrà su livelli elevati, forse si implementerà ancor di più, il biogas, rinsaldando il connubio fra mondo agricolo e quello gas.
Si noti che il modello implementato da Snam va esattamente nella direzione voluta da Bruxelles, ossia un modello economico decarbonizzato “Emissioni Net Zero”, quindi dove progressivamente il gas integrato con l’idrogeno (nuova miscela), quando tecnologia e modelli organizzativi renderanno il nuovo vettore ibrido competitivo e praticabile. Tale approccio è stato denominato dall’azienda “business-multimolecola” e con tutta probabilità si affermerà con business del futuro.
Certamente non sarà un cambiamento repentino poiché a seguito di inverni sempre più miti, si manifesta un avanzo di gas importante che contribuisce a contenere i prezzi. Sempre secondo la IEA, le scorte statunitensi di natural gas sono state il 41% in più rispetto alla media quinquennale e del 23% in più rispetto allo scorso anno. Mentre in Europa, secondo i dati di Gas Infrastructure Europe, al 1° aprile di quest’anno gli stoccaggi erano quasi al 60%. Si tratta dunque di surplus diffuso di gas che progressivamente si potrà riassorbire, ma non estinguere, soprattutto se, come da più parti si auspica, si riprenderanno appieno i rapporti commerciali con la Russia, a seguito di pace fino ad ora disattesa.