Idrogeno: raffinerie, cattura CO2, Hydrogen valleys e corridoi

03 giu 2024
Il ruolo dell'idrogeno nelle bioraffinerie per la produzione di biocarburanti, nella produzione degli efuels e nella CCS. Articolo di Monica Dall'Olio

Le azioni per agevolare il posizionamento dell’idrogeno all’interno del mix energetico non si fermano. Solo negli ultimi giorni, mentre Italia, Germania e Austria hanno firmato una dichiarazione per il corridoio sud dell'idrogeno, la Commissione europea ha dato il via libera al quarto Ipcei - progetto di comune interesse europeo - denominato Hy2Move, dedicato allo sviluppo di tecnologie a idrogeno nel settore della mobilità, coinvolta anche l’italiana Ufi Filters.

Se nel mondo l’attuale produzione di idrogeno è di circa 75 milioni di tonnellate, in Italia costituisce una realtà industriale piuttosto rilevante con volumi dell’ordine di 700.000 tonnellate/anno (ll vettore idrogeno: stato dell’arte e potenzialità dell’industria italiana 2023 RSE, Anie Confindustria), ottenute quasi esclusivamente da un processo termochimico denominato Steam Methane Reforming che utilizza gas naturale come materia prima e trasforma tutto il carbonio contenuto nel metano utilizzato, sia come materia prima che come fonte di calore per il processo, in CO2 emessa in atmosfera. Gli usi principali sono relativi ai processi di raffinazione, alla produzione di ammoniaca e di altri prodotti chimici.

Questa modalità di produzione, oggi l’unica significativa, corrisponde al cosiddetto idrogeno “grigio”, che comporta rilevanti emissioni di gas serra.

Idrogeno in bioraffineria per la produzione di biocarburanti

Secondo quanto riportato da Unem le raffinerie italiane impiegano circa 500.000 tonnellate di idrogeno nei processi tradizionali, come eliminare lo zolfo dai prodotti raffinati, migliorare le caratteristiche qualitative, massimizzare le rese in distillati medi e leggeri, ma anche nelle bioraffinerie per produrre biocarburanti di altissima qualità.

Come avviene nelle bioraffinerie Eni di Porto Marghera, Venezia (attiva dal 2014) e Gela, in Sicilia (inaugurata nel 2019), dove si produce biocarburante (HVO - Hydrotreated Vegetable Oil, Olio vegetale idrogenato) a partire da materie prime di origine biologica grazie a un processo che prevede l’utilizzo di idrogeno. Alla base del processo vi è la tecnologia proprietaria Ecofining. Le bioraffinerie sono alimentate prevalentemente (circa 85%) da materie prime di scarto, come oli esausti da cucina, grassi animali e residui dell’industria agroalimentare per la produzione di biocarburanti, HVO diesel, bio-GPL, di bio-jet e di bio-nafta destinata alla filiera della chimica, ma anche carburanti sostenibili per l’aviazione (Sustainable Aviation Fuel – SAF).

Eni ha confermato anche la decisione di realizzare la terza bioraffineria in Italia a Livorno. Il progetto prevede la costruzione di tre nuovi impianti per la produzione di biocarburanti idrogenati: un’unità di pretrattamento delle cariche biogeniche, un impianto Ecofining da 500mila tonnellate/anno e un impianto per la produzione di idrogeno da gas metano.

E-fuels e idrogeno

L’idrogeno gioca un ruolo importante anche per la produzione di e-fuels, che sono una combinazione di sintesi tra idrogeno e CO2, ma nel nostro Paese non sono presenti impianti di produzione.

I carburanti sintetici sono prodotti a partire dall’estrazione, tramite elettrolisi, dell’idrogeno verde (alimentata quindi da energia elettrica rinnovabile) che viene successivamente combinato insieme alla CO2 per dare vita a un combustibile liquido.

Ma i costi di produzione, nonostante le tecnologie siano disponibili, sono troppo elevati, come rileva uno studio di fattibilità di Unem del 2021, in collaborazione con il Politecnico di Milano, per la realizzazione di un impianto dimostrativo per la produzione di e-fuels.

L’Italia dimostra comunque di crederci. Recentemente Assopetroli-Assoenergia e l’iniziativa tedesca eFUEL-TODAY hanno stretto una partnership strategica per promuovere i carburanti rinnovabili.

Cattura CO2, arriva Callisto

L’idrogeno “grigio” prodotto esclusivamente da combustibili fossili o da vettori energetici ottenuti da combustibili fossili può diventare “blu” applicando tecniche di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica che si genera come scarto della produzione di idrogeno. Va detto che la tecnologia attuale non consente di catturare tutta la CO2. La CO2 dispersa in atmosfera può variare da un minimo del 20% circa fino ad un massimo del 50%.

Ma è già possibile in Italia? Attualmente il progetto più importante, inserito nella lista dei Progetti di Interesse Comunitario, è coordinato da Air Liquide e sviluppato in collaborazione con Eni e Snam. Si tratta di Callisto - CArbon LIquefaction transportation and STOrage – che ha l'obiettivo di sviluppare una catena del valore della CCS (Carbon Capture and Storage) nell’Europa sud-occidentale, focalizzandosi sulla decarbonizzazione dell’Hub di Fos sur Mer, in Francia avendo come referente Air Liquide, e delle aree industriali italiane, a partire da quella di Ravenna e Ferrara, avendo come referenti ENI e Snam. L'iniziativa è supportata da 16 aziende operanti nei cluster industriali interessati.

La CO2 sequestrata sarà stoccata nell’hub CCS a Ravenna, che Eni come operatore sta sviluppando in JV con Snam, dotato di una grande capacità di stoccaggio, stimata in oltre 500 milioni di tonnellate, con l’obiettivo sviluppare il più grande network multimodale nel Mediterraneo per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio CO2, offrendo una soluzione di decarbonizzazione per le industrie hard to abate (come cementifici, fertilizzanti, acciaierie etc.) e proponendosi come riferimento per il Sud Europa.

Callisto si inserisce nel quadro del più ampio progetto relativo all'Hub CCS di Ravenna, il cui avvio è previsto nel 2024 con l’iniezione ai fini dello stoccaggio permanente di 25 mila tonnellate all'anno di CO2, catturate dalla centrale a gas di Casal Borsetti di Eni. Lo sviluppo industriale della fase 2, il cui avvio è previsto entro il 2026, consentirà di raggiungere una capacità di stoccaggio di 4 milioni di tonnellate al 2030. Ulteriori espansioni potranno portare i volumi fino a 16 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

Riguardo a Ravenna ci sono anche cattive notizie: risulta che non verrà realizzato, per il momento, il previsto impianto di produzione di idrogeno verde, poiché le tempistiche previste dal PNRR sono incompatibili con quelle (più lunghe) necessarie per ricevere gli elettrolizzatori dai fornitori.

Decarbonizzazione e idrogeno verde

Per agevolare il processo di decarbonizzazione, si tenderà sempre più all’utilizzo preponderante dell’idrogeno verde, prodotto mediante processi con emissioni di CO2 molto basse, che possono essere l’elettrolisi da fonte esclusivamente rinnovabile o la gassificazione/pirolisi di biomassa.

Al fine di accelerare lo sviluppo di una filiera e di un mercato dell’idrogeno su scala significativa, l’UE intende incrementare la quota nel mix energetico dall’attuale 2% al 13-14% entro il 2050, seguendo un percorso articolato in diverse tappe.

Nelle varie fasi, si prevede un progressivo aumento degli elettrolizzatori installati, soprattutto in prossimità dei centri di domanda esistenti, quali grandi raffinerie o impianti siderurgici e chimici, nonché lo sviluppo di cluster ed ecosistemi regionali autonomi (le cosiddette Hydrogen Valleys), in modo da accelerare la transizione verso forme di idrogeno più pulite.

In coerenza con la strategia europea per l’idrogeno, l’Italia sta lavorando alla propria strategia, e con il PNRR ha destinato 3,19 miliardi di euro alla promozione della “produzione, distribuzione e usi finali dell’idrogeno”. La raffinazione del petrolio e i prodotti chimici vi sono indicati come i principali settori ad alto livello emissivo in cui l’idrogeno può aiutare il processo di decarbonizzazione. Anche l’acciaio è uno dei settori hard-to-abate dove l’idrogeno può assumere un ruolo rilevante, essendo l’Italia, dopo la Germania, il secondo produttore in Europa.

La criticità più importante è rappresentata dai costi, anche operativi, ancora elevati, che richiedono azioni incentivanti a livello centrale, sebbene l'attesa crescita dei volumi di produzione degli elettrolizzatori e la crescente disponibilità di energia rinnovabile a basso costo facciano ben sperare.

Agli inizi di marzo si è conclusa la consultazione pubblica del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sullo schema di decreto finalizzato a definire gli incentivi tariffari per la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio, con oltre 40 operatori che hanno risposto.

Intanto ad oggi sono 50 i progetti approvati per la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, ai quali se ne dovrebbero aggiungere ulteriori 23 grazie agli ultimi stanziamenti.

“E’ volontà del Ministero investire tutte le risorse disponibili del PNRR per dotare l’Italia di un sistema industriale per la produzione di idrogeno rinnovabile”, ha dichiarato Gilberto Pichetto. “Questo è un passaggio importante per competere in un mercato internazionale in rapida evoluzione dove l’Italia vuole giocare un ruolo di leader”.