Intervista di Chiara Proietti per Watergas.it a Filippo Brandolini, Presidente di Utilitalia e Presidente di Herambiente. Dall’innovazione tecnologica ai fondi del PNRR, dal nuovo regolamento sul riuso delle acque reflue al dl Siccità. Ecco i passi di Utilitalia per contrastare il Climate Change e per accompagnare le Utilities nella transizione energetica.
Supportare lo sviluppo delle progettualità innovative delle utilities e agevolare il confronto tra le imprese associate e le startup di settore; affrontare il tema degli impatti del climate change sul rischio di impresa; aggiornare le prospettive assicurative ed i finanziamenti per le aziende dei servizi pubblici per adeguare le infrastrutture in uno scenario climatico mutato; pianificare nuovi interventi nelle infrastrutture idriche ed energetiche con i fondi del PNRR; confrontarsi con le novità del Decreto siccità e gli obiettivi della Cabina di regia istituita da Palazzo Chigi per far fronte alla crisi idrica.
Sono i temi affrontati in questa intervista a Filippo Brandolini, Presidente di Utilitalia e Presidente di Herambiente. Un punto fondamentale - secondo Brandolini - per il raggiungimento degli obiettivi di economia circolare e della transizione energetica è quello di superare la frammentazione fra i diversi usi del settore idrico - ad uso civile e potabile o ad uso industriale - a fronte della limitatezza della risorsa. Occorre inoltre avere una gestione coordinata della risorsa idrica ed ampliare il perimetro del servizio idrico integrato, in termini di “riuso”.
Ma è strategico anche investire in nuovi vettori energetici, come l’idrogeno e il biometano, sia attraverso i fondi del PNRR sia grazie all’utilizzo di nuove tecnologie digitali e l’utilizzo di intelligenza artificiale.
Utilitalia ha rilanciato il ruolo delle utilities nel supportare la transizione energetica italiana con 10 miliardi di investimenti, in un momento in cui il climate change fa sentire tutti i propri effetti sul Paese e su diversi settori produttivi, compreso quello energetico. Quali obiettivi intendete raggiungere a medio e lungo termine attraverso questi investimenti?
I 10 miliardi di investimento fanno riferimento in particolare alla gestione della risorsa idrica e al ciclo idrico integrato, un settore fortemente sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici e degli eventi estremi, fattori che fanno sì che a momenti di acuta siccità possano fare seguito momenti alluvionali.
Si tratta di garantire quella che viene definita la “resilienza del ciclo idrico” e fare in modo che l’acqua possa essere trattenuta per essere utilizzata anche in momenti di siccità. Dei 10 miliardi, 3 verranno investiti al Nord, 4 al Centro e 3 nel Sud e nelle Isole. Si tratta di investimenti che riguardano servizi di riduzione e distribuzione idrica per circa 6,5 miliardi: 2,5 miliardi di segmenti di fognatura e depurazione delle acque e una quota residua di 1 miliardo da destinare alla captazione, potabilizzazione e dissalazione.
La realizzazione di questi interventi comporterà una maggiore quantità di acqua potabile disponibile stimata in circa 620 milioni di metri cubi. Ricordiamo che il consumo annuo di acqua potabile nel nostro paese è di circa 9 miliardi di metri cubi, ossia una quantità rilevante. Grazie a questi investimenti saranno realizzati numerosi progetti. Ne abbiamo stimati circa 1000: dagli approvvigionamenti al riutilizzo delle acque reflue, fino al rifacimento delle reti idriche per evitare la dispersione.
L’innovazione tecnologica gioca ovviamente un ruolo fondamentale anche per migliorare la situazione delle reti idriche. Tant’è che di recente avete lanciato il progetto Utilitalia Innovation, incentrato sui progetti messi in campo dalle imprese dei servizi pubblici nei settori dell’energia e del ciclo idrico integrato? Può parlarci di qualche progetto nel settore acqua? Ed esempi di progetti nel settore energia?
L’Utilitalia Innovation è un progetto costituito da tre tappe principali: una sull’acqua, una sull’energia ed una sull’ambiente. Il percorso si concluderà il prossimo ottobre con un evento finale, l’Innovation Day a Milano, occasione in cui i maggiori player dell’innovazione e alcune startup selezionate incontreranno le 450 imprese associate a Utilitalia, per verificare come le migliori soluzioni tecnologiche presenti sul mercato possano rispondere alle esigenze delle utilities sui territori, per elevare la qualità dei servizi offerti ai cittadini.
L’innovazione tecnologica è sicuramente una chiave importante per affrontare la transizione ecologica nel suo complesso ed il contrasto ai cambiamenti climatici. Molti di questi progetti, sia nel settore idrico che nel settore dell’energia e dell’ambiente, fanno ricorso alle tecnologie digitali e all’intelligenza artificiale per migliorare la gestione dei vari processi. Per quanto riguarda l’idrico, per esempio, l’utilizzo di tecnologie digitali aiutano a ridurre la dispersione delle reti idriche mentre, nel settore dell’energia, le tecnologie favoriscono il risparmio energetico per bilanciare nella maniera migliore possibile domanda e offerta di energia e per un suo utilizzo più razionale.
Un progetto innovativo riguarda anche la produzione di energia rinnovabile tramite pannelli fotovoltaici posti su bacini idrici che comporta diversi elementi di vantaggio, come l’utilizzo di suolo e l’assorbimento di radiazione solare da parte dei pannelli, con conseguente riduzione di riscaldamento dei bacini idrici e la riduzione della produzione algali. Se torniamo al tema dell’energia, strettamente connesso al settore idrico, ci sono interessanti progetti per la valorizzazione energetica attraverso i fanghi di depurazione, per la produzione di idrogeno e biometano, o attraverso il riutilizzo delle acque reflue per produrre l’idrogeno.
In generale, mi piace sottolineare l’estrema dinamicità da parte delle imprese associate ad Utilitalia che non si limitano ad investimenti tradizionali e a tecnologie consolidate ma che vedono nell’innovazione un driver di sviluppo importante anche per favorire la transizione energetica e contrastare i cambiamenti climatici.
Da giugno è stata applicata negli Stati dell’Ue il nuovo regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo che definisce per la prima volta requisiti minimi per l’utilizzo delle acque di recupero. Le vostre osservazioni?
La nostra valutazione è complessivamente positiva. Partiamo da un dato per spiegare perché riteniamo positivo questo Regolamento. Il riuso delle acque depurate era già normato a livello nazionale da un DM del 2003, al quale subentrerà il Regolamento europeo di cui parliamo. Secondo i dati di Arera il riuso delle acque nel nostro paese è fermo al 4% delle acque depurate mentre il potenziale potrebbe essere ben maggiore e superare il 23%.
Questo dato è dovuto al fatto che il Regolamento vigente dal 2003 è molto rigido e restrittivo e pone dei parametri di compatibilità sul riuso delle acque senza effettuare una analisi specifica e finalizzata ai diversi usi. Invece il nuovo Regolamento europeo ha un nuovo approccio fondato sulle analisi delle situazioni di potenziale pericolo per la salute umana, animale o dell’ambiente che potrebbero verificarsi lungo tutta la filiera: dall’affinamento alla distribuzione, fino allo stoccaggio e all’utilizzo finale.
Se noi abbiamo il compito di restituire all’ambiente queste acque depurate, coloro che ne sono invece gli utilizzatori - pensiamo per esempio al mondo agricolo – debbono valutare quali siano le opportunità date dalle acque depurate e quali siano i rischi. Un conto è l’acqua depurata utilizzata per la coltivazione di verdure che dovranno essere consumate crude, un conto è l’acqua utilizzata per la produzione di biomasse ed energia rinnovabile. La nostra valutazione è dunque positiva sul nuovo Regolamento poiché ci aiuterà a fare incontrare in modo migliore la domanda e l’offerta, uscendo da una logica di estrema rigidità sulle caratteristiche delle acque depurate.
Gli obiettivi della Cabina di regia per la crisi idrica istituita a Palazzo Chigi riguardano lo snellimento delle procedure amministrative al fine di fornire risposte concrete e urgenti ai territori. E’ stata assegnata la priorità ai progetti di dissalatori di acqua marina, come strumento di transizione per affrontare le fasi emergenza ed è stata decisa la costituzione di tavoli tecnici interministeriali dedicati alle diverse tematiche afferenti alla crisi idrica, che avranno il compito di supportare il lavoro della Cabina di regia. Cosa ne pensa? Stiamo andando nella direzione giusta?
Fin dal momento in cui il Governo ha deciso di affrontare il tema della siccità a febbraio scorso, noi abbiamo evidenziato alcuni aspetti critici e fatto delle proposte ben precise. Abbiamo sottolineato infatti la necessità di avere un Governo coordinato per affrontare in modo globale in tema della risorsa idrica. Ricordiamo che tale risorsa idrica è destinata per circa il 60% ad usi agricoli, per circa il 20% ad usi industriali e per la restante parte ad uso potabile.
Nel momento in cui la risorsa idrica è limitata è evidente che occorre un Governo che coordini la sua gestione anche rispetto ai diversi usi. La Cabina di Regia a mio parere andrebbe dotata di maggiori poteri ed anche di risorse economiche. Abbiamo evidenziato inoltre anche come il settore idrico andrebbe affrontato più a livello di “distretto” e di bacini idrografici piuttosto che a livello di enti e istituzioni amministrative che spesso hanno confini territoriali che non coincidono con i bacini idrografici. La Cabina di Regia dovrebbe dunque avere maggiore potere di programmazione rispetto alle Regioni che possono avere visioni tra loro contrastanti. Sicuramente anche la “semplificazione” è un aspetto strategico da considerare perché la corsa contro il tempo e l’urgenza dei cambiamenti climatici sono fattori critici.
Dobbiamo sottolineare che per i dissalatori il Decreto siccità ha introdotto elementi di semplificazione importanti che possono essere una risposta strategica in determinate situazioni, sia nelle isole sia dove la risorsa idrica è soggetta alle infiltrazioni. E’ importante e opportuno dunque avere approccio di coordinamento globale, dell’attività della Cabina di regia e delle Autorità di Bacino oltre a dare corso a tutte le tecnologie possibili, inclusa la dissalazione che costituisce una delle possibili soluzioni a portafoglio ad integrazione di altre.
Alcune aziende stanno investendo nella produzione di biometano liquido partendo dalla valorizzazione di effluenti zootecnici, tra cui letame e liquami bovini, provenienti da aziende agricole. Il bio-gnl in quali settori può essere utilizzato in particolare? Quali sono le ricadute positive, in termini ambientali ed economici?
Vorrei fare un ragionamento più ampio. Le matrici attraverso le quali produrre biometano sono varie: gli effluenti zootecnici, le biomasse agricole, o i rifiuti stessi come quelli organici fino ai fanghi di depurazione. Peraltro la stessa Commissione Europea attraverso i RepowerEu, un provvedimento che ha cercato di affrontare il tema della crisi energetica e anche la necessità di ridurre l’importazione e l’utilizzo di gas dalla Russia, ha raddoppiato gli obiettivi di produzione di biometano al 2030, con previsioni di produzione di circa 35 miliardi di metri cubi.
Quindi tutte le matrici possibili devono essere valorizzate. Il biometano rappresenta una grande opportunità di decarbonizzazione perché ha caratteristiche del tutto analoghe al metano fossile e quindi può essere utilizzato dove esso è già utilizzato senza aggiustamenti tecnologici: dall’autobus alla caldaia per il riscaldamento domestico. Già ora esistono vari i progetti e penso in particolare alla produzione di biometano da rifiuti organici, con impianti già operativi dove il biometano viene immesso nelle reti o di distribuzione locale o nella rete di trasporto di Snam per gli utilizzi tradizionali. Si tratta di una grande opportunità, poiché trattandosi di biometano dal punto di vista delle emissioni carboniche è neutro e quindi è una filiera molto interessante che può contribuire in modo concreto alla decarbonizzazione.
Sono arrivati diversi finanziamenti dal PNRR a sostegno per potenziare la filiera dell’idrogeno, del biometano, per le infrastrutture idriche. Come vanno investiti i soldi del PNRR?
I fondi del PNRR possono e verranno investiti intanto per il potenziamento di infrastrutture idriche, agevolando quindi la lotta alle dispersioni. Tra pochi giorni la nostra associata di Torino, la Smat che opera nel settore idrico farà un evento per celebrare l’avvio di un cantiere nei pressi di Torino per potenziare i sistemi di infrastrutture di acqua potabile. Si tratta di un intervento che è stato finanziato anche dal PNRR.
Il potenziamento del sistema infrastrutture esistenti servirà anche per dirottare nuovi investimenti atti ad affrontare i cambiamenti climatici e per garantire una gestione della risorsa idrica resiliente. Anche la produzione di idrogeno, anche se si tratta di una tecnologia non ancora affermata, avrà un futuro importante nel nostro paese. Sotto questo profilo è importante che il PNRR abbia finanziato e finanzi in futuro progetti sull’idrogeno che, al momento, in gran parte sono sperimentali e volti a creare punti di produzione di idi questo importante vettore.
L’idrogeno potrebbe infatti essere quel vettore energetico che può sostituire, nei cicli industriali, il gas di origine fossile e quindi consentire di decarbonizzare quelle industrie che non possono essere elettrificate.
Per quanto riguarda i rifiuti, il PNRR ha destinato varie risorse sia alla valorizzazione del riciclo dei rifiuti, con impianti per la produzione di metano da rifiuti organici, sia per realizzare piattaforme legate al riciclo di rifiuti prodotti dalla carta, vetro e plastica, puntando all’innovazione e a filiere per le quali c’è un’impiantistica più limitata nel nostro paese.