Articolo a cura di Utilitalia pubblicato sul nuovo numero di Acquagenda
Per decenni in Italia non si è investito abbastanza sul settore idrico: dal 1950 al 1980 fra i €0,5 miliardi ed i €1,5 miliardi annui, un picco negli anni 80’ con investimenti pari a circa €2 miliardi annui, per poi tornare ai livelli di partenza dal 1995 fino al 2009. Di conseguenza lo stato delle infrastrutture riflette il basso livello di investimenti: l’età di posa delle condotte di adduzione e distribuzione – che non sempre è conosciuta – ha un’età compresa tra i 31 e i 50 anni nel 36% dei casi, mentre il 22% è caratterizzato da un’età maggiore ai 50 anni; inoltre il livello di copertura del servizio non raggiunge ancora il 100% della popolazione per uno o più dei singoli servizi che lo compongono. Problematiche, queste, maggiormente accentuate al Sud tanto da portare a coniare il termine “Water Service Divide”.
Oltretutto la disponibilità di risorsa idrica all’interno del territorio nazionale è caratterizzata da una notevole variabilità spaziale e temporale, che rende il nostro Paese ciclicamente esposto all’insorgenza di crisi idriche, anche in quei territori tradizionalmente ricchi di acqua e maggiormente infrastrutturati. In questo quadro appare chiaro che i gestori del servizio idrico integrato affronteranno dei rischi fisici imponenti e dovranno effettuare ingenti investimenti di adattamento al cambiamento climatico.
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