L'"AggregateEu" si sta rivelando sempre più un flop, sia per contraddizioni interne che per miopia sugli orizzonti di acquisto. Approfondimento di Pierpaolo Signorelli.
Nell’aprile del ’22, nelle prime fasi della crisi russo-ucraina, il Consiglio Europeo – autonomo organo deliberativo dell’UE – ha dato avvio ad un nuovo procedimento per gli acquisti comuni di gas, al fine di fronteggiare la speculazione scatenatasi sui mercati europei dell’energia.
La piattaforma per le acquisizioni prende nome AggregateEu, e si basa sul principio (elementare) de “l’unione fa la forza”, ossia un procacciamento congiunto di gas, cioè a livello di UE anziché di singolo Stato, dovrebbe spuntare condizioni di acquisto complessivamente migliori. E considerato la violenta impennata che i prezzi hanno fatto registrare, con punte al dettaglio anche del 300%, l’obiettivo primario è stato di ottenere prezzi di acquisto sui mercati internazionali mediamente più bassi rispetto a quelli registrati sulle borse nazionali.
Altro fondamentale target è la sicurezza degli approvvigionamenti, ricercando e facilitando negoziati con soggetti affidabili e costituire partenariati di medio-lungo periodo stabili e profittevoli. I mercati “bersaglio” sono i più vari, con l’ovvia eccezione di quello russo, visto che l’UE ha decretato il blocco delle importazioni dalla Russia fino al completo azzeramento degli import di gas al 2027.
In termini più operativi, la nuova procedura prevede che le imprese europee registrino il proprio fabbisogno di gas, o almeno una buona parte di esso, sulla piattaforma Aggregate EU, e che tali acquisti siano indirizzati al riempimento degli stoccaggi di gas in maniera coordinata e tempestiva. L’operazione, nelle intenzioni degli strateghi di Bruxelles, dovrebbe evitare, da una parte, che le imprese nazionali lottino fra loro per accaparrarsi sui mercati nazionali il gas disponibile, portando poi all’aumento dei prezzi. Dall’altra, che il gas così immagazzinato costituisca un benchmark di riferimento a ribasso, perché acquistato nella tarda primavera o all’inizio dell’estate. Ossia una stagione prima dell’anno termico di riferimento.
I volumi richiesti sono aggregati e messi a gara sul mercato mondiale; a tali ricerche si abbinano le migliore proposte e poi, le imprese aderenti avviano con i fornitori internazionali le trattative sulle condizioni contrattuali di acquisto e consegna del gas. La Commissione non svolge alcun ruolo nelle trattative.
Complessivamente il numero di aziende europee che ha aderito al nuovo meccanismo sono all’incirca un centinaio ed i vari paesi europei si sono impegnati ad adottare tale procedura per riempire almeno il 15% dei propri stoccaggi, pari a circa 13,5 miliardi di metri cubi all'anno.
Se queste erano le premesse e le modalità operative, le cose sono andate in modo molto diverso rispetto alle attese, e l’"AggregateEu" si sta rivelando sempre più un flop, sia per contraddizioni interne che per miopia sugli orizzonti di acquisto. Sul primo ordine di problemi è lo stesso segretario generale dell’organismo di settore Eurogas, Andreas Guth, che ha evidenziato due intoppi posti dalla politica della stessa UE: la legge europea di concorrenza e la predilezione per le rinnovabili.
Sul primo punto è noto che non sia consentito alcuna interferenza di Stato nell’ ordinario andamento degli scambi, ma qui è richiesto un impegno del singolo Stato per far riempire gli stoccaggi, attraverso gli ordinativi delle aziende, per nome di 1/6 della propria capacità. Sul secondo punto l’impasse è evidente: la Commissione e, più ancora il Parlamento, con il “Fit for 55” prima ed il “RepowerUE” poi, hanno bruscamente accelerato sulle FER, a discapito del gas e, più in generale, del principio della neutralità tecnologica, mettendo così in seria difficoltà i tanti operatori del settore energetico, sia nella trasmissione (TSO e distributori locali), che nella generazione (filiera dell’impiantistica).
Sempre sul fronte interno, va rilevato come l’approvvigionamento di gas in Europa sia una situazione molto varia: i maggiori utilizzatori sono Germania e Italia, ma i paesi più esposti nei rifornimenti sono quelli dell’est, perché non dispongono di accesso al mare. In Francia e Spagna, il consumo, pur se presente è piuttosto contenuto. In un contesto così articolato, era piuttosto facile prevedere che l’adozione di una piattaforma unica, non potesse rispondere alle numerose distinte esigenze, anche perché, e va sottolineato con forza, troppo spesso le soluzioni commerciali sono avulse dalle reali disponibilità infrastrutturali e tecnologiche, omissione che crea disfunzioni insanabili.
Nel caso di specie, i rifornimenti nuovi si aggiungono ai quantitativi già importanti nelle infrastrutture esistenti (gasdotti e/o rigassificatori). Pertanto, se non avanzano delle sufficienti rimanenze di capacità, il gas, che comunque si è riusciti ad acquistare attraverso la piattaforma comune, in Europa rischia di non arrivare. Inoltre, i principali fornitori, generalmente major e campioni nazionali, seguono la propria strategia di mercato e si attestano sulle posizioni che, più o meno direttamente, segnalano loro i governanti. E gli investimenti nazionali per portare gas aggiuntivo solo in misura assai residuale possono essere messi a disposizione della piattaforma. Ed infatti buona parte dei paesi dell’Europa dell’Est, continuano a rifornirsi dalla Russia, sia in modo diretto, ossia con le pipelines che attraversano l’Ucraina (!) sia attraverso i canali del gnl, appoggiandosi ai paesi sul mediterraneo, come ad esempio la Turchia.
L’altra grande problematica riguarda l’orizzonte temporale sul quale la piattaforma deve tararsi e poi lavorare. Abbiamo visto che il suo utilizzo è principalmente rivolto al riempimento degli stoccaggi che normalmente sono coperti da contratti futures pluriennali per i rigassificatori e da TOP per i rifornimenti da pipelines. Me le finalità della piattaforma si scontrano con le modalità della copertura, che sono invece indirizzate sul breve periodo, visto che si vuole dotare l’EU della riserva per l’inverno che viene. Tale “mismatch temporale” fa anticipare al momento presente i prezzi futuri, anche perché i principali fornitori internazionali dell’Europa adeguano i prezzi dei nuovi contratti ai livelli di prezzo registrati al TTF olandese che sono elevati perché frutto della speculazione. Ed il vincolo del 15% comporta un rialzo per tutta la scorta restante provocando l’effetto opposto a quanto si desiderava.
Fortunatamente la piattaforma ha funzionato molto poco. Non sono stati diffusi i dati ma pare si sia attestati a livelli inferiori al 5% di quanto preventivato. Eppure, non è un’esperienza vana; la piattaforma ha consentito a molti player di grandezza medio piccola di avere una finestra continentale aperta sul mondo internazionale, condizione che normalmente è difficile da raggiungere ed è costosa. Questo risultato è molto importante per accrescere la competitività interna del mercato e va certamente potenziato e protetto. Altra questione che potrebbe correggersi con successo, concerne l’orizzonte temporale che si vuole privilegiare cui segue la tipologia di contratti da impiegarsi. Se si imposta, come correttamente è stato fatto, il riempimento degli stoccaggi, va seguita una direttrice di medio-lungo periodo con la quale costruire TOP convenienti. E questo ci porta al terzo livello di problematica: la rivisitazione della politica energetica nei prossimi 15 -20 anni che non può essere concentrata solo sull’elettrico, ma deve dare spazio, anche al gas, vettore di transizione per eccellenza.