Intervista a Stefano Tersigni, ricercatore dell’Istat presso la Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione delle statistiche sociali e demografiche e per i fabbisogni informativi del PNRR e ricercatore presso il Centro Euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici (CMCC).
Nonostante il legislatore si stia adeguando alle direttive della UE, esiste ancora una grande frammentazione su quella che è la gestione dei servizi idrici, non solo quelli relativi all’acqua potabile, ma anche agli altri usi, principalmente agricoltura e industria.
Ne parliamo in questa intervista con l’Ing. Stefano Tersigni – ricercatore dell’Istat (Istituto nazionale di Statistica), presso la Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione delle statistiche sociali e demografiche e per i fabbisogni informativi del PNRR e ricercatore presso il Centro Euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici (CMCC).
Tersigni parte dall’assunto che “se si riuscisse a centralizzare maggiormente la gestione si otterrebbero risultati di gran lunga più lusinghieri di quelli finora registrati”.
Quanto al PNRR “non è la risposta, non risolve i problemi, non è abbastanza, devono essere fatti grossi investimenti in infrastrutture, in conoscenza ed informazione, altrimenti gli effetti degli eventi estremi ci porteranno a decisioni drastiche”.
Ing. Tersigni, nel suo ruolo all’interno della direzione centrale cosa sta sviluppando ora?
In questo momento sono responsabile di un Progetto di ricerca che analizza gli aspetti socio demografici della popolazione coinvolta nelle emergenze ambientali. In particolare mi sto occupando dell’impatto e degli effetti dei cambiamenti climatici, diretti ed indiretti, sulla popolazione.
Seguo inoltre l’analisi e l’aggiornamento di tutti gli indicatori del dominio ambiente del BES (Benessere Eco Sostenibile) sia a livello nazionale, regionale che locale.
L’Agenda 2030 ha nell’obiettivo 6 quello di garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie, in che modo l’Istituto che lei rappresenta si sta adoperando per garantire il raggiungimento di questo obiettivo?
L’Istat ogni anno produce il “Rapporto SDGs. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia” dove vengono esplicitati una serie di indicatori, in molti casi gli stessi definiti dalle Nazioni Unite, dove si analizzano gli andamenti in serie storica e gli scostamenti rispetto ai target di riferimento per il nostro Paese.
E’ evidente che senza un appoggio normativo da parte del Legislatore difficilmente si riesce ad impostare un nuovo corso che tenga conto delle nuove istanze e degli obiettivi stabiliti. L’Italia come si colloca rispetto agli altri paesi europei in tal senso?
Su questo il legislatore si sta adeguando alle direttive della UE, cercando di applicare quanto ratificato in sede Europea, soprattutto per quel che concerne la qualità delle acque potabili e il trattamento delle acque reflue urbane.
Per il resto esiste ancora una grande frammentazione su quella che è la gestione dei servizi idrici, non solo quelli relativi all’acqua potabile, ma anche agli altri usi (principalmente agricoltura e industria).
Uno dei temi più caldi è quello ad esempio della perdita di acqua nelle infrastrutture di adduzione e distribuzione, in Italia secondo una rilevazione svolta in riferimento al 2020 circa il 42% dell’acqua potabile si disperde nelle reti comunali di distribuzione, se poi consideriamo tutta la filiera dal prelievo al trasporto per arrivare al consumo, questa percentuale è decisamente più alta si aggira intorno al 48% dell’acqua prelevata.
Quali a suo avviso possono essere i prossimi passi da compiere per favorire ad esempio l’efficientamento della rete?
Certamente ridurre il più possibile la frammentazione nella gestione dell’acqua, perché la risorsa è unica. Un piccolo passo in avanti è stato fatto con l’istituzione, pochi anni fa, delle Autorità di Distretto. Purtroppo ancora non hanno ottenuto grandi risultati nella gestione della risorsa, anche per le forti sovrapposizioni con le Regioni e con i vari enti territoriali. Idealmente se si riuscisse a centralizzare maggiormente la gestione si otterrebbero risultati di gran lunga più lusinghieri di quelli finora registrati, anche perché la risorsa idrica difficilmente si consuma nel posto dove viene prelevata, ecco che diventa necessario la possibilità di una gestione più ampia.
I cambiamenti climatici che determinano la riduzione delle precipitazioni e l’innalzamento delle temperature sicuramente stanno portando ad un cambiamento molto veloce degli scenari. Ecco perché servirebbero strutture decisionali più snelle e flessibili.
Interventi importanti di rinnovamento e ammodernamento delle infrastrutture potrebbero costituire un buon approccio anche nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi UE.
Esistono degli esempi virtuosi, magari locali dai quali trarre spunto e ispirazione per progetti su scala nazionale?
Si, ce ne sono diversi al Nord e nel Mezzogiorno. Sia in termini gestionali, organizzativi, che amministrativi potendo fare degli esempi concreti citerei la gestione delle acque nei comuni di Milano e Torino o anche alcuni gestori in Emilia Romagna e l’Acquedotto Pugliese in Puglia. Manca però ancora quella visione complessiva che consenta di avere un quadro d’insieme. Su quello siamo ancora molto indietro.
E le giovani generazioni che tipo di sensibilità stanno sviluppando sulla materia? Sono ricettive o restano neutrali o peggio oppositive rispetto a queste tematiche?
Ritengo che le giovani generazioni siano mediamente più sensibili e consapevoli rispetto a persone di classe anagrafica maggiore. Sono cresciuti con una visione piuttosto chiara dello scenario che si sta determinando e cercano, per quel che possono, di non contribuire ad aggravare la situazione con atteggiamenti o approcci in contrasto con le “buone pratiche”, come ad esempio un uso attento dell’acqua per uso domestico, evitare inutili sprechi, etc
Di questo ne abbiamo evidenza anche da alcune rilevazioni condotte dall’Istat.
Per concludere, è evidente che solo gestendo in maniera organica e strutturata queste tematiche si riuscirà a traguardare gli ambiziosi obiettivi dell’Agenda 2030, Lei resta fiducioso sulle modalità attraverso le quali si stanno portando avanti o avverte un’inerzia o peggio un immobilismo da parte delle nostre istituzioni?
Immobilismo o inerzia no, comunque qualcosa si sta facendo, ma è ancora troppo poco, non è abbastanza, e l’urgenza di certe decisioni diventa sempre più impellente. Considerando come stanno cambiando rapidamente gli scenari, occorre dare un’accelerazione al processo di cambiamento, il PNRR da questo punto di vista non è la risposta, non risolve i problemi, non è abbastanza, devono essere fatti grossi investimenti in infrastrutture, in conoscenza ed informazione, altrimenti gli effetti degli eventi estremi ci porteranno a decisioni drastiche.
(Le risposte dell’intervistato sono a carattere personale)
Intervista a cura di Lorenzo Valente, Urban Mobility Expert