Il mercato del gas naturale: dall'emergenza al prossimo futuro

20 dic 2022
Il tema della volatilità e del livello dei prezzi del gas in Europa è oramai al centro del dibattito, e lo sarà ancora per molto tempo. Il presente Position Paper offre uno sguardo all’evoluzione della struttura del mercato gas, incentrandosi sulla composizione dell’offerta e della tipologia delle forniture. Analizza, inoltre, le tendenze nelle strutture contrattuali e i relativi costi. In un contesto in cui i Paesi Membri hanno preferito, fino ad ora, agire in maniera indipendente, il Position Paper discute le proposte di regolazione comunitaria avanzate dalla Commissione Europea, sottolineandone i pro, i contro e i possibili ulteriori interventi nel breve e nel medio termine, nell’ottica di un mercato del gas più stabile e in grado di garantire la sicurezza dell’offerta.

1. La struttura del mercato

Fino al 2021, il prezzo del gas naturale nei principali mercati non ha mai superato quello del petrolio, in termini di equivalente calorico, se non di poco e per brevissimi periodi. La situazione attuale è totalmente straordinaria e senza precedenti, e soprattutto appare di assai maggiore gravità in Europa che in altre parti del mondo. Tuttavia, ciò che ci interessa in questa occasione, non è tanto analizzare il “livello” dei prezzi, quanto la variabilità degli stessi a seconda delle aree geografiche, degli operatori e dei mercati dove ci si trova. Da questa variabilità si possono trarre lezioni sia su cosa fare di fronte all’emergenza, sia sulle ragioni di fondo degli sviluppi attuali, e quindi sulla possibile evoluzione dell’organizzazione del mercato (il cosiddetto market design), le cui debolezze possono avere – se non creato – probabilmente esasperato i problemi attuali (per un confronto con il settore elettrico si veda anche il Position Paper n. 219).

Un punto di partenza è la struttura delle forniture. Essa può essere analizzata considerando:
a) la tipologia di trasporto (gasdotto o Gas Naturale Liquefatto – GNL)
b) il Paese/area di provenienza
c) le caratteristiche contrattuali (a breve o lungo termine; su mercati spot o tramite contratti bilaterali over the counter; con indicizzazione ai mercati spot del gas, del petrolio, miste, o altre
d) le caratteristiche dell’acquirente (grande o piccolo, pubblico o privato, ecc.).

Guardando all’Italia e considerando la provenienza della fornitura si può notare come le quote percentuali siano cambiate in questi ultimi mesi: a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, il gas proveniente da Mosca è sceso dal 38% del 2021 al 22% dei primi otto mesi del 2022. Ciò grazie alla compensazione avvenuta dai maggiori acquisti nel resto d’Europa (dal 3 all’11%), GNL americano (dall’1 al 4%) e di altra provenienza (dal 12 al 14%), nonché dall’Azerbaigian (dal 9 al 13%), mentre le altre fonti sono rimaste sostanzialmente invariate. Si tratta effettivamente di una riduzione piuttosto rapida, se si pensa alla complessità contrattuale e alla rigidità dell’enorme sistema infrastrutturale del gas. Tuttavia, essa non è indolore ed è certamente correlata all’esplosione dei prezzi. Non meno importante è la struttura contrattuale. Negli ultimi 10 anni, per effetto della minore necessità di ammortizzare gli investimenti nelle infrastrutture di produzione e trasporto, e delle maggiori opportunità di approvvigionamento su mercati sempre più liberalizzati, la quota dei contratti a lungo termine (LTC) è diminuita. Molti dei vecchi contratti in scadenza non sono stati rinnovati o rinnovati per quantità e durate inferiori. È importante notare, però, che i LTC mantengono una capacità superiore all’80% dei consumi e rappresentano quindi – se onorati – una fonte importante di sicurezza dell’offerta. Tuttavia, molto dipende dalle condizioni contrattuali, e in particolare dall’indicizzazione dei prezzi. Anche in questo vi è stata, negli ultimi 20 anni, una forte evoluzione verso l’indicizzazione a mercati spot del gas. In particolare, in Europa la quota degli approvvigionamenti indicizzata a mercati gas è passata dall’80% circa del 2005 al 20 % del 2020, con una lieve (ma significativa) ripresa nel 2021 al 22% circa. Inoltre, poco più del 20% delle forniture europee hanno mantenuto prezzi indicizzati al petrolio. In realtà le condizioni contrattuali sono talvolta più complesse, ad esempio con indicizzazione al petrolio ma clausole limitative riferite a mercati spot del gas, o viceversa. Un’eterogeneità contrattuale (per quanto non nota nei dettagli, essendo assente qualsiasi obbligo di disclosure) che aiuta a spiegare perché i costi medi di approvvigionamento del gas registrino significative differenze tra i paesi in concomitanza con le tensioni di mercato, ossia dalla seconda metà del 2021, mentre in precedenza erano piuttosto omogenei.
Infine, un ulteriore aspetto rilevante è la tipologia dell’importatore. Dopo la liberalizzazione, gli attori del mercato si sono moltiplicati e i nuovi hanno aumentato la loro quota di mercato rispetto ai grandi operatori storici. Tuttavia, questi ultimi (e i medi operatori) detengono tuttora una quota preponderante dei LTC che, come osservato, sono attualmente meno costosi dei mercati spot, presso i quali sono soliti approvvigionarsi gli importatori minori. Le conseguenze della crisi potrebbero essere pesanti, con difficoltà per le aziende già segnalate in varie parti d’Europa.

 

2. “Tetto al prezzo”: quali opzioni sul tavolo?

L’ipotesi di fissare un tetto, o almeno una fascia permessa di prezzo del gas all’ingrosso, può avere vari significati e modalità, ciascuno dei quali con pregi e difetti (per una trattazione dettagliata si rimanda alla versione completa del Position Paper). Un tema, quello del price cap oggetto di un confronto (talvolta acceso) sia tra Paesi europei che in ambito industriale. E cosa ne è emerso? Le diverse proposte dibattute hanno in comune il fatto di tentare di sostituire alla definizione di prezzi collegati a quelli spot una qualche tipologia di meccanismo di mediazione dei prezzi stessi. Un secondo punto in comune, è quello di cercare di ottenere questo risultato attraverso una segmentazione dei mercati, con l’applicazione di tetti solo a parte del mercato.

Vi è infatti la generale consapevolezza che l’imposizione di un tetto in condizioni di offerta strutturalmente inferiore alla domanda (per effetto della diminuzione delle forniture russe, descritta sopra) potrebbe provocare un’ulteriore restrizione delle forniture. In particolare, quelle spot di GNL sono molto esposte alla competizione internazionale e potrebbero essere dirottate in altre parti del mondo: è stato osservato che gran parte dell’aumento delle forniture spot di GNL all’Europa è stato possibile grazie alla riduzione in altre zone, come la Cina, la cui domanda di GNL è diminuita per l’aumento (già previsto) delle forniture via pipeline, per una ripresa del carbone (a seguito del vertiginoso aumento del prezzo del gas) e soprattutto gli effetti delle restrizioni anti-COVID sull’attività economica. Di conseguenza, le proposte di segmentazione del mercato tendono a lasciare la possibilità che almeno il GNL spot, essenziale per equilibrare il mercato europeo, non sia soggetto a tetti.


Nel dibattito in corso, spesso confuso e poco trasparente, è stato proposto di limitare il cap alle forniture per l’energia elettrica, replicando sostanzialmente quello che accade in Spagna e Portogallo: in sostanza il tetto si applicherebbe alle offerte basate sul gas del mercato elettrico, che sarebbero sussidiate di fatto dalle altre fonti. L’estensione di tale meccanismo è stata respinta dalla Commissione poiché finirebbe per stimolare artificialmente l’uso del gas rispetto alle altre fonti, con effetto sui mercati opposto a quanto desiderato. Inoltre, sarebbe difficile evitare che i sussidi siano diretti verso usi diversi, e si potrebbero persino alimentare esportazioni di energia elettrica sussidiata dall’UE verso paesi esterni interconnessi, come il Regno Unito o la Svizzera.


In alternativa, è stato proposto di applicare il tetto solo alle forniture russe: questa sarebbe di fatto una sanzione, e la Russia ha già minacciato di bloccare forniture il cui prezzo non segue le clausole contrattuali vigenti, e quindi il riferimento a quei prezzi spot per il quale (ironicamente) gli Europei hanno lungamente combattuto, contro le resistenze dei paesi esportatori. La discussione della proposta consente di aprire un’altra dimensione del problema, ossia quella della solidarietà tra paesi membri dell’UE. In teoria, sarebbe possibile che i maggiori costi degli acquisti centralizzati, necessari a equilibrare il sistema in caso di deficit causato dal tetto, siano finanziati da un contributo a carico di tutti gli utenti, indipendentemente dal paese in cui si trovano. In questo caso, tuttavia, nazioni come Spagna e Italia (che hanno forniture meno costose della media) si troverebbero ad avere vantaggi minori dal tetto, che potrebbero anche essere compensati dal maggior costo necessario ad acquistare il GNL. Per contro, i benefici netti maggiori andrebbero ai paesi che hanno attualmente le forniture più onerose (spot o LTC), ossia quelli dell’Europa centro-settentrionale. In pratica, sembra difficile che si possano implementare meccanismi del genere. I TSO sono contrari ad assumere un ruolo non di loro competenza (anche qui non si può che notare l’ironia di un meccanismo, sia pur provvisorio, che riporterebbe i TSO nel mercato del gas, dopo il lungo e faticoso processo che ha portato alla loro separazione). Inoltre, il deficit di forniture derivante dal tetto dovrebbe essere stimato per ogni mercato, e le risorse acquistate centralmente redistribuite: non senza difficoltà logistiche, dato che il riorientamento dei flussi ha già portato alla luce alcune congestioni di rete. Soprattutto, la definizione dei deficit è molto difficile in un mercato cha si svolge in gran parte attraverso LTC a carattere confidenziale.

 

3. Price cap o sussidi ai consumatori?

La minor complessità e i minori elementi di rischio hanno finora determinato che i paesi che dispongono di margini di manovra fiscali hanno preferito intervenire a tutela dei consumatori per questa via, piuttosto che con rischiose manovre di limitazione dei prezzi di mercato. Uno degli argomenti maggiormente citati a favore di strategie di sussidi ai consumatori, piuttosto che di interventi sui prezzi di mercato, nasce dal desiderio di mantenere un elevato incentivo al contenimento dei consumi come conseguenza degli alti prezzi: la domanda di gas naturale è poco elastica ai prezzi, ma non completamente inelastica. È difficile estendere a variazioni di prezzo così estreme stime dell’elasticità della domanda ottenute con livelli di prezzo più moderati, ma non sarebbe sorprendente rilevare cali della domanda ben oltre le aspettative più semplicistiche.

Non sarebbe la prima volta che la reazione della domanda risulta sottostimata nei mercati energetici, e questo dovrebbe far riflettere sia i protagonisti del mercato che le autorità politiche, sia dei paesi consumatori che di quelli fornitori. In ogni caso, la possibilità di ridurre le attuali sofferenze dei consumatori attraverso il contenimento dei costi di fornitura medi esiste, ma la via preferita può essere diversa per ogni paese. I margini di manovra potrebbero essere creati anche attraverso la fiscalità sulle imprese energetiche, se fosse possibile ridurre i costi, o sfruttando i casi in cui tali costi sono già minori rispetto alle forniture spot (o agganciate ai prezzi spot), anche attraverso prelievi straordinari da utilizzare a beneficio dei consumatori, senza necessariamente passare per la difficile azione sui prezzi di mercato e senza ridurre gli incentivi al contenimento della domanda che derivano da prezzi elevati delle forniture marginali.

 

4. Accordarsi coi paesi fornitori è possibile?

Cosa potrebbe offrire un paese europeo, o l’Europa nel suo insieme, ai propri fornitori esterni in cambio di una riduzione dei prezzi attuali, da attuarsi attraverso una modifica consensuale degli attuali contratti?
Per rispondere a questa domanda occorre porsi dal punto di vista dei fornitori. I paesi ricchi di risorse energetiche fossili sono caratterizzati da situazioni estremamente diverse: si pensi alla diversità tra contesti come Norvegia e Russia, Libia e Algeria, USA e paesi dell’Africa sub-sahariana. Tuttavia, essi hanno anche un interesse comune: utilizzare le proprie risorse a lungo, pur nella consapevolezza che politiche ambientali largamente condivise a livello globale porteranno nei prossimi decenni ad una riduzione della domanda delle stesse, che potrà essere compensata solo attraverso un graduale progresso della sostenibilità del loro ciclo di utilizzo.
In questo senso, si comprende perché i produttori abbiano sempre preferito formule di prezzo tali da garantire stabilità dei prezzi, piuttosto che un’esasperazione dei cicli per cui, a fasi di prezzi esplosivi (con la conseguente, anche se non immediata, distruzione della domanda) seguono fasi di crollo nelle quali non è neppure assicurato l’ammortamento degli ingenti investimenti effettuati. Nel mercato petrolifero, l’OPEC (e in particolare la posizione di supremazia dei principali produttori mediorientali) ha consentito un governo dell’offerta tale da evitare, o almeno smussare, le oscillazioni più pronunciate.
Se dunque i produttori condividono l’interesse alla stabilizzazione dei prezzi che cosa impedisce o limita la trattativa in questo senso? La principale contropartita che i consumatori dovrebbero offrire, in una simile trattativa, è la garanzia di un mantenimento dei prezzi al di sopra di un livello minimo quando la congiuntura del mercato volge in direzione del crollo. Sul piano contrattuale, gli strumenti per offrire ai fornitori queste garanzie sono ampiamente disponibili, e largamente utilizzati, specialmente in Asia: si tratta delle curve “a S” per le quali il prezzo oscilla in funzione di uno o più indicatori (prezzi petroliferi, prezzi spot del gas, o altri) ma solo entro una banda predeterminata (cap & floor). Il motivo per cui queste clausole sono poco usate in Europa risiede nella natura esasperatamente concorrenziale del mercato europeo: l’acquirente che accetta una simile soluzione contrattuale si trova esposto alla concorrenza di importatori che, in condizioni di eccesso di offerta, possono facilmente trovare soluzioni alternative con i quali andare ad erodere le quote di mercato di chi ha optato per prezzi più stabili. Ed è ciò che, del resto, è avvenuto largamente in Europa con lo sviluppo della liberalizzazione, per una soddisfazione dei consumatori di cui ora paghiamo caramente il prezzo.
Oltre alla stabilità del prezzo nel medio termine (il “pavimento” in cambio del “tetto”) i paesi importatori europei possono però offrire ai paesi fornitori, o almeno ad alcuni di esse, contropartite di altra natura.

 

5. Una riforma del mercato del gas

L’attuale congiuntura sta segnando profondamente il mercato e l’industria del gas. Tuttavia, proprio perché ci troviamo nel pieno della crisi, l’attenzione degli operatori, dei regolatori e degli osservatori esterni appare concentrata sull’emergenza, mentre sono assenti o quasi proposte di riforma. In un precedente Position Paper (n. 214) si è dato conto delle principali, nate prima della crisi e rivolte essenzialmente ad includere i “nuovi gas” (in primis l’idrogeno), nell’ambito di una fase dominata dall’obiettivo della sostenibilità rispetto agli altri due tradizionali vertici del triangolo della politica energetica, ovvero costo e sicurezza. L’improvvisa rinnovata centralità di questi ultimi due termini comporta necessariamente una revisione delle proposte politiche, anche se potrebbe (paradossalmente) rafforzare l’effettivo raggiungimento dei desiderati obiettivi di sostenibilità.
Aperto è invece il dibattito sulla riforma che potrebbe essere opportuna dopo la crisi, la cui durata è naturalmente legata agli eventi bellici, ma con notevoli incertezze su quanto segue. Gli osservatori concordano solo sul fatto che la capacità produttiva globale di GNL aumenterà significativamente a partire dal 2025-26, ma poco si sa sulle variazioni della domanda, sia in Europa che in Asia e negli altri principali mercati. I principali aspetti da considerare nel prevedere l’evoluzione dell’assetto del mercato sono: la domanda; la possibile struttura geografica delle forniture; gli obiettivi di politica energetica; il ruolo delle imprese; la struttura dei mercati, specie all’ingrosso; i meccanismi di determinazione dei prezzi. Come si può notare, gli elementi che contano non si limitano certo ai meccanismi di fissazione del prezzo nelle borse, su cui si è largamente appuntata l’attenzione del momento. Tuttavia, la tematica relativa al ruolo del TTF sul mercato del gas, per quanto importante, non può rappresentare l’unico aspetto di un mercato che è sempre stato assai più complesso nella sua organizzazione.

 

6. Alcune riflessioni conclusive

Cosa c’è sul tavolo? L’affannosa ricerca di un accordo su misure per contrastare la crisi si è scontrata con il fatto che i paesi europei differiscono significativamente, dal punto di vista degli approvvigionamenti, dei consumi e delle condizioni macroeconomiche, per cui non è sorprendente che la maggior parte delle risposte sia venuta da singoli paesi. Solo di recente è giunta una proposta di intervento della Commissione Europea, che pur essendo ancora largamente dubbiosa sul tetto ai prezzi e timida sulla costituzione di un acquirente comune, rappresenta un messaggio ai mercati, tale da scoraggiare almeno gli speculatori meno attrezzati.


Diversamente dal mercato elettrico, il gas è oggetto di transazioni spesso di lungo termine e soprattutto con soggetti esterni all’UE: le soluzioni non possono essere limitate ad una modifica dei meccanismi tecnici di determinazione dei prezzi sui mercati spot, il cui ruolo rimane limitato. Anche se i prezzi spot, sono adottati come indicatori in molti contratti a lungo termine, essi si sono rapidamente prosciugati nella crisi, anche per i vincoli imposti alle transazioni dalla normativa finanziaria europea. In questo contesto drammatico, il dibattito sull’evoluzione strutturale del mercato è appena iniziato. Se non pare semplice rivedere radicalmente il modello di mercato basato su hub nazionali interconnessi, è tuttavia chiaro che questo dovrà essere dotato di strumenti di controllo e indirizzo molto più robusti. Il mercato del gas è condizionato da un lato dalla poca elasticità dell’offerta e della domanda nel breve termine, dall’altro da fattori di politica generale e di politica ambientale, oltre che dalla rilevanza sociale dei consumi, che si riflette nella natura sistemica di molte imprese. Il tutto avviene su uno sfondo di limitatezza dell’offerta, con potenziale sfruttamento di posizioni dominanti, e di vincoli contrattuali e geopolitici che vanno oltre l’UE: tutti aspetti che l’attuale assetto del mercato pare aver dimenticato.


Al di là dei difficili interventi di breve termine, volti a limitare gli spike dei prezzi, occorre una riflessione seria su quali interventi possano consentire una transizione dal gas naturale che, anche se pare segnata nell’esito, dovrebbe risultare un fenomeno lento e ordinato, da completarsi nell’ordine di decenni, e basato sulla scelta delle alternative sostenibili più efficienti. La costituzione di un acquirente comune europeo, la cui natura e compiti sono peraltro da definire, potrebbe rappresentare l’embrione di un organismo idoneo a governare la transizione: un processo che dovrà necessariamente coinvolgere paesi di altri continenti, sia come produttori che come consumatori.

Fonte: laboratorioref.it